METAMORFOSI #3 SCOMPARIRE
Ho scritto quasi tutta questa newsletter a mano, sulle pagine di un bel quaderno, seduta alla scrivania della mia stanza, numero 111, al primo piano di un hotel incastonato nel verde lustro e abbacinante di un luogo ameno, scelto con molta cura, dove sono andata a scomparire – in solitudine –, per cinque giorni (che poi sono diventati sei. Perché si stava troppo bene).
SCOMPARIRE v. intr. [der. di comparire] – 1. a. Sparire, sottrarsi alla vista; più genericam., non essere più visibile.
b. Di persona o cosa, non esserci più, essere introvabile, e in partic., di persona, allontanarsi rendendosi irreperibile e senza dar più notizie di sé. c. Cessare di esistere, estinguersi, cadere nell’oblio o in disuso. d. Per iperbole, perdere di importanza, vanificarsi, diventare inconsistente.
Il mio corpo è “fuori dai radar”. Immerso nel silenzio. Via da Milano, lontano da tutti, anche se per poco e anche se non davvero (rispondo a email e messaggi, scatto foto per fare qualche stupida storia su IG, converso al telefono per una decina di minuti al giorno: tutti sanno come è fatto il mio corpo e dove si trova in questo momento). Sto bene e mi concentro – direi abbastanza serenamente – su questa e su tutte le altre volte in cui ho desiderato non esserci. La mia mente si agita e poi si placa, ma scivolo inesorabilmente verso un appagante senso di pace. Sono stati mesi difficili, eppure non mi sono mai sentita più forte di così.
Penso a:
• La morte: a un corpo che non puoi più abbracciare, perché non esiste più.
• La vecchiaia: a un corpo che si trasforma a poco a poco, fino a diventare irriconoscibile.
• La malattia: a un corpo che soffre e si consuma.
• La libertà: di andarsene.
Il destino di un corpo, in fondo, non è altro che di scomparire.
E poi penso:
• A Benedetta Barzini, che ha compiuto 75 anni e ha detto: sai che c’è? “La mia vita va verso il ‘non’, voglio scomparire ed essere dimenticata”. Questa sua decisione, di cui purtroppo non trovo aggiornamenti, è raccontata dal figlio attraverso un documentario dal titolo “La scomparsa di mia madre” (del 2019). Come lei a suo tempo ha deciso anche Mina, che non vediamo dal 1978. Come lei, ancor prima, si è pronunciata la divina Greta Garbo, che si è ritirata dalle scene a 36 anni e all’apice del suo successo. Ho pensato a queste donne con i riflettori puntati addosso che, a un certo punto, decidono di non farsi più vedere da nessuno. Nessuno.
• Ad alcuni personaggi letterari e cinematografici incontrati negli anni: prima di tutto a Lila di Elena Ferrante (e del nostro cuore) che non si fa trovare più, nemmeno da Lenù e neanche da quel figlio, adorato e incapace, che senza di lei non è in grado di badare a se stesso. Alla protagonista de Il mio anno di riposo e oblio di Ottessa Moshfegh, che si chiude nel suo bellissimo appartamento di Manhattan, scegliendo di vivere in uno stato di ibernazione e stordimento perenni, in un folle esperimento messo a punto per sopravvivere a se stessa. A Ofelia. Alla Sissi del Corsetto dell’imperatrice, alle Vergini suicide, alla bella Alice di Closer.

• A Francesca Woodman e ad Ana Mendieta, artiste straordinarie accomunate da una riflessione sul corpo centrale per la propria arte e da un linguaggio visivo potente, ma anche da una triste fine. Precipitate entrambe da un grattacielo di New York. Francesca Woodman suicida, nel 1981, a soli 22 anni. Ana Mendieta misteriosamente scivolata giù dalla finestra del 34esimo piano di casa sua, sotto gli occhi del marito. Corpi che cessano di esistere e lasciano testimonianza eterna di sé.
• A Virginia Woolf e alla sua Mrs Dalloway. Alla tenerezza, allo sconforto, all’inspiegabile senso di pienezza e di vuoto che mi dà l’idea che Virginia Woolf abbia deciso di non aver più bisogno del proprio corpo. A Sylvia Plath. Che qualche tempo prima di preparare per l’ultima volta la colazione per i figli e decidere di morire respirando il gas del forno nella sua cucina, in una pagina dei suoi Diari, scrive: "Ieri notte mi è apparsa in sogno Marilyn Monroe come una fata madrina. [...] Parlavo quasi in lacrime di quanto lei e Arthur Miller significassero per noi, anche se loro, sicuramente, non avevano idea di chi fossimo. Mi consigliava una brava manicure. Io avevo i capelli sporchi e le chiedevo un parrucchiere, dicendole che ovunque andassi mi proponevano dei tagli orribili. Mi invitava da lei per le vacanze di Natale, proponendomi il fiorire di una nuova vita".
Penso a Marilyn Monroe e a Sylvia Plath che vanno in vacanza da qualche parte, insieme, proprio come Thelma e Louise. E non ritornano più.
Chi se ne va che male fa?