LINDA ascolta Schumann
Una conversazione tra Letizia e Elisa Lemma, ideatrice di un progetto di ascolto collettivo di musica classica
Qualche settimana fa, tramite un messaggio WhatsApp, sono stata invitata ad un Ascolto. Qualche amico ci era già stato – “splendido”, “è come fare terapia di gruppo” –, sapevo che non esisteva un calendario pubblico e che bisognava attendere una nuova chiamata. Quando è arrivata, confermata la mia presenza, ho ricevuto le indicazioni per raggiungere l’appuntamento e così la scorsa settimana, in un appartamento privato nascosto nell’impenetrabile cuore di Milano, dove le stanze si aprono in successione labirintica, insieme a dieci sconosciuti mi sono seduta alle spalle di due pianiste ad ascoltare Schumann.
Di questa esperienza e del progetto Ascolti parlo con la sua ideatrice Elisa Lemma, pianista e poliedrica professionista nel mondo della musica classica.
Ti va di raccontare cos’è Ascolti a chi non ha avuto la fortuna di partecipare?
Certo. L'Ascolto è l'incontro di un gruppo di persone che si trovano a casa mia o comunque in un luogo amichevole, in cui qualcuno suona al pianoforte e gli altri (che in genere non hanno una formazione classica specifica, o a cui viene chiesto di metterla da parte per un paio d'ore) ascoltano.
Si inizia con l'ascolto del brano scelto e poi si fa partire una sorta di club del libro ma con la musica, dove un po’ alla volta, a partire da chi se la sente, si condividono le sensazioni provate; raccolti i primi spunti, si riascolta il brano a spezzoni, lo si vede più da vicino, creando via via una conversazione che in genere va avanti da sola, perché le persone tendenzialmente si sentono coinvolte; alla fine si riascolta il brano per intero, per vedere se si avverte qualcosa di diverso, sia in chi suona sia in chi ascolta.
Ascolti è nato quando ho vinto un bando di School of Commons, un collettivo dell'Università di Zurigo, che assegna un piccolo fondo per fare una ricerca su un qualsiasi argomento, con l'unico vincolo che sia di peer-learning, dove cioè si impara dagli altri.
Il bando mi ha permesso di fare molti Ascolti e di mettere a punto questa formula, ma soprattutto mi ha fatto capire che il lavoro più grosso dovevo farlo su me stessa, perché per mettere gli altri a proprio agio - condizione fondamentale per la riuscita dell'incontro - dovevo esserlo prima di tutto io.
Su cosa hai dovuto lavorare, in particolare?
Avevo tante insicurezze verso il mondo della musica (ad esempio, anche solo concedersi di suonare un brano pur non avendolo studiato alla perfezione è stato difficilissimo), ma anche sull’idea stessa di questa ricerca. Ora Ascolti ha acquisito anche una forma definita ed è diventato persino un libro ma per tanto tempo mi sono chiesta ossessivamente se questo lavoro avesse senso e quale fosse il mio effettivo contributo.
Quel periodo a Zurigo mi è servito soprattutto a imparare a rimanere nel mio disagio e a percepirlo come qualcosa di interessante, oltre che spaventoso.
Per quel che può valere la mia esperienza, voglio assicurarti che da partecipante ho ricevuto moltissimo. Mi sembra che, al di là della musica classica, questa pratica di ascoltare in gruppo e partecipare a una conversazione collettiva sia un esercizio meditativo che oggi ha un enorme valore politico e che non trova quasi mai spazio nella quotidianità dei più. Certo, puoi entrare in un cinema e guardare un film di tre ore e mezza, ma quando c’è un gruppo che partecipa con te senti di più la responsabilità della presenza.
Sì, tra gli intenti del progetto c’è che, in gruppo, si sviluppi un tipo di attenzione nuova, per cui ci si può anche distrarre un attimo, ma poi, tornando a parlare di specifici passaggi, suonandoli, analizzandoli da punti di vista diversi, si è coinvolti più attivamente nell’ascolto. Ad esempio, quando la scorsa settimana tu hai detto che un brano ti sembrava “giocoso”, in tanti sono andati a cercare quell'atmosfera lì.

Ti piace di più suonare o ascoltare?
In questo progetto direi che mi piace di più suonare, infatti l’Ascolto fatto a dicembre, in cui facevo solo mediazione, è stato meno speciale dell’ultimo, anche perché, non avendo studiato il pezzo da suonare, avevo meno cose da condividere.
In generale l’esperienza della musica classica, in particolare per i pianisti, è molto solitaria – studi da solo, è previsto che ti faccia da solo un’idea dei brani, il maestro è il tuo unico feedback, ma si tratta di un feedback molto improntato al giudizio sulla tecnica – quindi, ora che me lo chiedi, mi viene da pensare che in queste occasioni suonare e ascoltare non si contrappongono affatto: guardando insieme un brano – io suonando, voi ascoltando –, le cose che ci diciamo finiscono nel modo in cui poi lo suono e si crea una connessione circolare.
Capita di avere musicisti tra gli ascoltatori?
No, non mi è ancora capitato di coinvolgerli perché ho paura che diventerebbe una gara a chi ne sa di più o che sarebbe una noia mortale. Sinceramente non saprei come portare il discorso su un piano magari più semplice ma senz’altro più vero.
I non-musicisti hanno uno sguardo sempre nuovo sul brano che sto suonando e questo mi aiuta a riabilitare quel tipo di musica che, in certi momenti della mia vita, ho sentito lontanissima. Parliamo comunque di una musica scritta perlopiù da uomini bianchi, pensata per un pubblico ricco ed elitario... In Al di là delle parole di Carl Safina ho letto i numeri dello sterminio degli elefanti nell'Ottocento, in particolare quelli legati alla produzione dei pianoforti, e ho avuto un'epifania, perché quando studi Beethoven, Chopin, Mozart, ti vengono proposti come dèi sacri e intoccabili, scollegati dalla realtà, sulle cui opere devi interrogarti all'infinito. E invece in quel momento li ho visti, improvvisamente umani, suonare con le mani insanguinate sulle zanne degli elefanti. Ovviamente in conservatorio non viene mai problematizzata l'origine sociale ed economica di tutto questo mondo.
Guardando il movimento del tuo corpo mentre suoni ho pensato a quando cantavo in un coro sinfonico. Non so suonare, ma so che cantare è una cosa meravigliosa, molto fisica, che ti porta naturalmente a muoverti insieme alla musica, eppure il comando severissimo era di non assecondare quell’istinto e restare immobili. È lo stesso anche per i musicisti?
Dipende… Diciamo che se suoni in un’orchestra non puoi muoverti più di tanto perché devi stare attento allo spazio di chi ti sta vicino, ma i pianisti, suonando da soli, hanno più libertà in questo senso. Ad esempio c’era questo mio compagno di classe molto bravo che già da piccolo era molto espressivo nel suonare, e il nostro maestro cercava un modo per invitarlo a muoversi di meno senza però stravolgere il suo stile, perché magari quei movimenti gli servivano per sciogliere la tensione o semplicemente interpretare il brano.
Io, dato che sentivo molto il peso del giudizio, ho sempre cercato di controllare severamente i movimenti del corpo, sviluppando per contro una serie di altri tic, come serrare le labbra o muoverle di lato, e aggravando la situazione già complicata della mia colonna vertebrale, che ora sto cercando di risanare con la fisioterapia e lo yoga.
Vuoi raccontarmi meglio questa parte della tua vita da pianista?
Il fatto è che non se ne parla mai abbastanza ma suonare musica classica è a tutti gli effetti uno sport agonistico: è previsto che la tua schiena sopporti le 8 ore di lavoro al giorno passate su uno sgabello senza schienale, ma questo è impossibile, quindi spesso va avanti chi è fisicamente meglio strutturato, in una sorta di brutale selezione naturale dei pianisti…
Io non ho mai fatto sport – perché facevo pianoforte, appunto [ride] – e solo quando ho iniziato a fare yoga ho finalmente iniziato a percepire il mio corpo, sentire le tensioni delle spalle, la differenza tra il lato sinistro e quello destro… Prima avvertivo solo un mal di testa cronico, non ero assolutamente consapevole del groviglio di tensioni che c'era sotto.
La cosa bella è che questo risanamento mi ha donato anche una maggiore agilità nel suonare: ci sono dei passaggi tecnici che prima non riuscivo a fare e che adesso invece mi riescono. Quindi mi chiedo come sia possibile che, nel mondo del conservatorio, nessuno pensi a questo aspetto e che ci si concentri solo sull’impeccabilità dell’esecuzione.
Quello che dici mi fa venire in mente Clara Schumann, di cui sono andata a leggere la (straordinaria) vita dopo che ce ne hai parlato durante l’Ascolto [i brani tratti da Bilder aus Osten suonati da Elisa e Alice sono stati composti da Robert Schumann per sua moglie Clara, pianista formidabile].
In particolare, ho letto che nell’ultima fase della sua vita, quando girava per l’Europa a suonare e a diffondere instancabile l’opera del marito, ha sofferto di quella che oggi i medici definirebbero una “sindrome da sovraccarico” – atroci dolori, soprattutto alle braccia, dovuti alle tante ore passate al pianoforte (a volte anche 15 al giorno) che l’hanno costretta a lunghi periodi di pausa.
Non conoscevo questa parte della sua vita… Di certo non mi stupisce, non conosco un musicista che non abbia qualche problema fisico, più o meno grave. Ad esempio, una condizione di cui si parla molto ultimamente è la distonia focale, una sorta di logoramento del collegamento neuronale tra il cervello e una specifica parte del corpo. Ci sono pianisti in piena carriera che all’improvviso non riescono più a fare una scala perché perdono l’uso di terzo e quarto dito, o strumentisti a fiato a cui non funziona più il labbro inferiore… Questo avviene perché, imparando a suonare con troppa tensione su un certo punto del corpo, si arriva a un blocco. L'unico modo per guarire è affidarsi a centri specializzati, dove si reimpara a suonare usando un nuovo percorso neuronale. Una roba difficilissima…
Tornando a quanto dicevi all’inizio, durante l’Ascolto è fondamentale che i partecipanti si sentano a proprio agio, infatti per la serata avevi preparato sedute diverse (materassi su cui stendersi, semplici sedie, cuscini, divani…) e ci hai incoraggiato a trovare una posizione comoda, oltre che ad alzarci e muoverci secondo necessità. Soprattutto, hai ribadito più volte che nessuno doveva sentirsi obbligato a intervenire o fare un commento, ma che ascoltare era sufficiente. Perché è così importante?
L’atmosfera tradizionalmente associata alla musica classica non è di certo quella di comfort e questo fa sì che ci sia sempre una enorme distanza tra la musica e chi ascolta. Se vai a teatro non hai la sensazione di poter stare comodo e a tuo agio, piuttosto ti sembra di entrare in un tempio. Cosa che ha certamente un suo valore, ma non si può dare per scontato che chi entra sia già religioso. Dovrebbero esserci dei momenti di avvicinamento progressivo, che però non capitano quasi mai…
Da un certo punto di vista Ascolti nasce da una musicista che cerca di auto-escludersi [ride], per recuperare una dimensione di condivisione della musica classica. Ai miei occhi quel mondo là, conservativo per definizione, aveva smesso di avere senso, e questa è diventata l’occasione per fare terapia sul mio rapporto con il pianoforte: mi ha aiutato a togliere infiniti strati di giudizio, creando un contesto dove la cosa più importante non è l’interpretazione fatta da Pinco Pallino 50 anni fa, ma la condivisione di un’esperienza.